Foujita pittore degli anni folli a Parigi
Se fossi stato un professore (cosa che avrei desiderato…), una domanda che avrei sempre posto sarebbe stata la seguente:” Quale artista dell’École de Paris del primo ‘900 rappresenta più di ogni altro l’anello di congiunzione fra Oriente e Occidente?”
La risposta, soprattutto dopo aver visitato la mostra Foujita, peindre dans les années folles al Musée Maillol, é facile.
Si tratta infatti del pittore giapponese naturalizzato francese Foujita al quale, nel cinquantenario della sua scomparsa, dal 7 marzo al 15 luglio il Museo Maillol di Parigi dedica una bellissima mostra.
Nella versione online del magazine Beaux Arts a proposito della mostra si può leggere:
“È il più giapponese dei pittori della Scuola di Parigi. Quando si trasferì a Montparnasse nel 1913, Foujita divenne ben presto una figura emblematica degli anni ruggenti.”
Non sono d’accordo, a me non sembra proprio; prima di tutto come potrebbe non essere “il più giapponese tra i pittori della scuola di Parigi” essendo nato a Tokyo nel 1886 e arrivato a Parigi solo nel 1913?
Ma soprattutto trovo fuorviante, se non sbagliato etichettare la figura dell’artista come “emblematica degli anni folli.”
Léonard Tsuguharu Foujita di folle non aveva proprio nulla.
“Nato da una famiglia di Samurai di alto rango”, recita la sua bibliografia e questo nella sua arte si vede eccome.
Inspirato al più puro classicismo non si è mai fatto travolgere dall’onda impetuosa delle avanguardie.
Malgrado riconoscesse il genio di Picasso, non si è mai piegato all’astrattismo, percorrendo sempre una via personalissima verso la bellezza.
Al contrario di una sciocca e allegra spensieratezza, dalla sua arte trapela una coscienza fuori dal comune, che nei suoi quadri diventa rigore e purezza, a riprova delle sue radici orientali mai rinnegate.
Il magnetico “Nu allongè” del 1922 può essere il paradigma della sua produzione.
Perfetta sintesi tra il classicismo occidentale e come si direbbe ora, il “minimalismo” orientale, questo quadro rappresenta la vita di questo pittore sempre a cavallo tra due stili, due culture e quindi due modi di affrontare l’esistenza.
Trovare l’equilibrio non è sempre facile; alla vigilia della seconda guerra mondiale sceglie di tornare in Giappone per servire il suo paese e diventa così il pittore ufficiale di regime.
Ma come si legge nella sua biografia “gli orrori delle guerra che vede nella sua amata patria gli sono insopportabili.”
É cosi che ritorna, questa volta definitivamente, in Francia.
Torna a Parigi, ma questa città dove ora imperano Picasso, Soutine, Chagall, Braque, non è più in armonia con il suo sentire.
«J’ai senti mon âme s’ouvrir » dirà e la sua anima si aprirà a Gesù.
La sua conversione al cattolicesimo nel 1959 chiuderá il cerchio della sua esistenza.
Il giorno del suo battesimo nella basilica di Saint Remi à Reims sceglierà il suo nuovo nome: Leonard in onore di Leonardo da Vinci.
Ultimo ed estremo tributo alla nostra cultura.
Tutti noi italiani gliene siamo grati.